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I CINQUE COMUNI
(Cenni storici)
I primi documenti cartacei testimoniano l’esistenza di Miggiano nel XII secolo. Nel 1156 Guglielmo il Malo distrusse la città di Vaste e gli abitanti, sbigottiti e fuggenti, si rifugiarono in parte nella valle dove sorge l’attuale nucleo abitato ed in parte in località Torrepaduli Testimonianza dell’originario miscuglio di popoli da cui deriva il paese è il suo stesso nome che, nel corso dei secoli, si evolve da Mesiano in Misiano, poi Misciano e Miggiano dei Paduli nel 1600 ed infine Miggiano. L’esistenza storica del paese è provata da due documenti dell’archivio di Napoli, uno del 1182 e l’altro del 1272, nei quali si nomina il “villaggio di Miggiano”. Le vicende storiche del paese ricordano il saccheggio e le stragi fatte dai turchi nell’ottobre del 1480, in cui vennero rapiti donne e bambini e le scorrerie dei Veneziani, nel giugno del 1484, che devastarono completamente il paese. E’ solo grazie alla pietà di Bellisario Acquaviva, che ebbe la giurisdizione penale e civile per quel periodo, che i pochi abitanti rimasti potettero scampare alla terribile carestia che afflisse per un lungo periodo il territorio. Un’ipotesi suggestiva, ma non per questo poco reale, fa risalire invece le origini di Miggiano all’età del bronzo. La presenza infatti in loco di insediamenti umani risalenti a questo periodo è testimoniata dal ritrovamento di vari menhir e grotte scavate nella pietra. Tra l’altro, anche le numerose tombe messapiche e romane ritrovate nel 1878 sono il segno evidente che le origini del paese sarebbero molto più antiche di quanto riportato dai documenti cartacei e dunque sicuramente prima del XII sec.
Deve questa denominazione al fatto che si adagia su di un pianoro leggermente elevato, il quale in confronto al terreno circostante, assolutamente piatto e un tempo paludoso, era considerato “un monte” nel significato di “piccola altura”, conformazione tipica delle Serre Salentine. Al termine Monte si aggiunse l’aggettivo “Sano” determinato dalla durezza della roccia affiorante. Nei secoli scorsi, questo luogo, era indicato come immune dalla malaria e nello stesso tempo molto fertile: questa caratteristica era dovuta essenzialmente alla combinazione di due elementi naturali: una certa sopraelevazione del terreno unita all’alto grado di piovosità della zona. Infatti il territorio comprendente Montesano e i centri dell’immediato circondario è quello a più alto indice di piovosità di tutta la Puglia, compreso il Gargano. Il centro risale probabilmente al XIV secolo. Nei secoli successivi appartenne dapprima alla famiglia d’Aragona e quindi alla famiglia Marulli, detentrice del feudo del Marchesato di Specchia e Campomarino. Tra i suoi monumenti figurano soprattutto la Chiesa Matrice, eretta nel 1822; la Chiesetta dedicata alla Madonna della Consolazione, edificata nel 1821; la Chiesetta del protettore San Donato, rimaneggiata integralmente nel 1775, che ospita un dipinto del ‘400 che riproduce la figura del Santo. Suoi illustri cittadini furono i fratelli Bitonti, medici e chirurghi, ed il sacerdote, giurista e rinomato chirurgo Saverio Scolozzi, tutti attivi nel XVIII secolo.
Nel cuore delle “Serre”, alle ultime propaggini delle murge salentine, sorge, come d’incanto, l’originale cittadina di Ruffano, il centro urbano si adagia su tre piccole colline come testimonia lo stemma comunale che raffigura, appunto, tre collinette ed un “R” maiuscola coronata. E’ un paese prevalentemente agricolo, con un centro storico prestigioso, composto da un nucleo centrale più antico, con vicoli, portali, corti e palazzi, ed una parte più moderna. Nella piazza principale spicca maestosa la chiesa Matrice del ‘700. Per parlare d’estate di Ruffano però bisogna fare subito riferimento ad un giorno molto particolare per i ruffanesi: dal tramonto del 15 agosto all’alba del 16. Tutto di continuo, senza interruzioni alcune, in questa notte, di fronte alla chiesa di San Rocco nella frazione di Torre Paduli, si suona e si danza a ritmo di tamburrelli, fisarmoniche, flauti, armoniche e di duellanti che si cimentano nella tradizionale “danza delle spade”, rigorosamente in un cerchio e senza armi, solo con le braccia e con le mani in un ritmo antico di sfida al coltello praticato nel tempo passato da uomini litigiosi che si incontravano durante i mercati. La festa di San Rocco richiama decine di migliaia di visitatori ed è uno degli appuntamenti estivi più attesi del Salento. Da non perdere nemmeno i fuochi di mezzanotte.
Il nome derivava da alcune antiche “specole” che
si vedevano. Riguardo alle specole o specchie tutti gli storici sono d'accordo
nel ritenerle cumuli di pietre che servivano come opere di difesa e come postazioni
per vedetta o addirittura come sepolcri di antichi eroi morti in battaglia.
V'è anche chi crede che le specchie siano state dei monumenti sepolcrali
(di uomini illustri) come era in uso presso qualche altro popolo; per sincerarsene,
ne fecero rimuovere due: quella detta di Santa Teresa e l'altra di Alpignano,
presso Zollino, e non si trovò niente. Le specchie furono erette, secondo
gli storici, durante l'età neolitica e nelle primissime età del
bronzo.
Storici dicono che "Preti" deriva da "Petrae", ma ciò
risulta errato se si considera che tutti i documenti fino al '700 riportano
il nome completo di "Specla Presbiterorum". E' evidente dunque che
si tratta di “preti” e non di “pietre”. Non si sa a
cosa attribuire quest'appellativo, non certamente al fatto che a Specchia ci
fossero molti preti, perché tale caratteristica è comune a molti
paesi. Mons. G. Ruotolo pensa che un tempo questo paese fosse appartenuto in
prevalenza a sacerdoti regolari e secolari e porta a conferma l'esempio del
Calone dei Preti, che un tempo era un casale appartenuto al Clero metropolitano
di Brindisi. Lo stemma civico rappresenta un mandorlo che cresce su un cumulo
di pietre, per ricordare, secondo alcuni, i molti mandorli che crescevano nelle
contrade.
I primi documenti attendibili che parlano di Taurisano ci riportano
verso la fine del sec. XII, durante la dinastia normanna, allorquando Tancredi
d'Altavilla, conte di Lecce dal 1175 e re di Sicilia dal 1190, infeudò
Taurisano, donandola a Filiberto Monteroni nel 1191. La famiglia Monteroni era
una delle famiglie più importanti della Terra d'Otranto; tenne il territorio
di Taurisano fino al 1265 e successivamente dal 1444 al 1536, quando si estinse
in seguito alla morte di Francesco Monteroni, rimasto senza discendenti. Subentrata
ai Normanni la dinastia degli Svevi nell'Italia Meridionale, il sovrano Federico
II° di Svevia (1194-1250) concesse il Principato di Taranto, cui apparteneva
la baronia di Taurisano, al figlio Manfredi, che ebbe non pochi problemi politici
con i pontefici del tempo. La morte del re e la lontananza dell'erede dell'Impero
Svevo, Corrado IV°, ravvivarono le speranze del Papato di riprendere il
controllo politico dell'Italia Meridionale. Fu proprio il Papato, nella persona
del Papa Innocenzo IV°, che, per combattere gli Svevi, chiamò in
aiuto il francese D'Angiò, promettendogli la corona del Regno di Napoli.
E questi con un potente esercito scese in Italia sbaragliando Manfredi a Benevento
nel 1266. Fra i molteplici provvedimenti amministrativi, il D'Angiò nominò
barone di queste terre Hugo de Tauro o de Taurisano. Nella rinnovata ottica
della gestione feudale, fu proprio Carlo V° che assegnò il feudo
di Taurisano, insieme con la Contea di Castro, ad Antonio Mercorino, marchese
di Gattinara, il cui dominio e quello dei suoi successori, tra cui Elisa Gattinara
Lignani, durò fino agli anni'60 del XVII secolo. Infatti nel 1663 il
feudo di Taurisano, insieme con quello di Monteroni, fu acquistato da Bartolomeo
Lopez y Royo, appartenente ad una nobile famiglia spagnola (il cognome, in verità,
deriva dall'unione della famiglia Lopez con la famiglia Royo). Nel 1692 il feudo
fu trasformato da baronia a ducato, sicché da allora i Lopez y Royo si
fregiarono del titolo di duchi. Di discendenza in discendenza, i duchi Lopez
rimasero pienamente in possesso del feudo fino a quando i Francesi, durante
l'era di Napoleone, occuparono il Regno di Napoli, abolendo la feudalità.
Ultimo discendente è stato Luigi Lopez y Royo, morto nel 1992, e ne ha
acquisito il titolo il figlio Giuseppe. Fra gli uomini più noti del casato
sono da ricordare, oltre al già citato Bartolomeo (1614-1666), Antonio
Lopez y Royo (1673-1742), il primo a fregiarsi del titolo di duca; Nicola (1819-1898),
capostipite del ramo di Taurisano, e soprattutto Mons. Filippo Lopez y Royo
(Monteroni, 1728, Napoli, 1811). Avviato alla carriera ecclesiastica, dotato
di alto vigore intellettuale e di vasta dottrina, vescovo di Nola e poi Arcivescovo
di Palermo, fu viceré di Sicilia, nominato da Ferdinando I° di Borbone,
in un periodo estremamente convulso per il Regno di Napoli e per la Sicilia
(la Rivoluzione Francese, con i suoi riflessi sul Meridione; i primi moti liberali;
l'avvio di una nuova mentalità e organizzazione sociale), per cui la
sua figura e la sua opera non sono state adeguatamente apprezzate a causa del
clima di confusione, di giacobinismo e di restaurazione, di diffidenza e di
odio. Come in quasi tutte le realtà salentine e meridionali, anche in
Taurisano si sono verificati vistosi cambiamenti dopo la fine del secondo conflitto
mondiale, in conseguenza di una forte emigrazione sia verso l'interno (il famoso
triangolo industriale italiano), sia verso l'estero, verso i Paesi di centro-
Europa (Francia, Belgio, Svizzera, Germania, Lussemburgo, ecc.). Tali cambiamenti
hanno inciso sia sul tessuto familiare, sia principalmente, sull'economia, in
quanto con le rimesse dell'emigrazione c'è stata una forte espansione
del lavoro nel campo dell'edilizia e dei settori indotti. Sempre dopo gli anni
'50 si è determinata anche una certa vivacità nel vissuto sociale
e nel campo culturale (manifestazioni, testate giornalistiche, ecc.) culminate,
finora, con la rivalutazione della figura e dell'opera del figlio più
illustre di Taurisano, Giulio Cesare Vanini, filosofo che qui ebbe i natali.
* Notizie dal sito ufficiale del
Comune di Taurisano