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LA STORIA DEL KART*
A cura della Redazione*
Non è facile stabilire quando fu realizzato il
primo esemplare di kart, ma notizie abbastanza circostanziate affermano che
fu costruito a Los Angeles verso la metà degli anni ‘50 da un certo
Arthur Ingles, che si era messo in testa di realizzare, per suo piacere, il
più piccolo ed economico veicolo da corsa, del tutto ignaro del successo
che avrebbe avuto in futuro la sua invenzione.
Il geniale Ingles, che partecipò alla realizzazione ed al successo di
alcune vetture per Indianapolis, sfruttò un piccolo motore a 2 tempi
per tagliaerba, del quale, per una serie di avversità, si determinò
un grosso esubero sul mercato.
Durante i primi giri nei parcheggi o sui campi da tennis destava una grossa
curiosità presso la gente, che domandava con sorpresa ed interesse quanto
costasse e dove l’avesse acquistato.
Ma fu proprio il 1956 l’anno la svolta che doveva dare un’impronta
industriale al processo di evoluzione del kart: un esubero di migliaia di esemplari
del motore per tagliaerba West Bend a 2 tempi da 2.5 CV, prodotto su specifiche
McCulloch, fece balenare l’idea ad Ingels. Il piccolo propulsore si rivelò
subito molto adatto al compito che doveva svolgere: motorizzare il primo kart
propriamente detto, possedendo caratteristiche tali che sembrava non potesse
trovare sistemazione migliore.
Il primo kart concepito con un certo criterio e che lasciava trasparire una
buona capacità costruttiva, come abbiamo detto, è da attribuire
ad Arthur Ingels, ma dei tentativi primordiali furono fatti da volenterosi genitori
per i loro figlioli già qualche tempo prima utilizzando motori di lavatrici,
tagliaerba e simili. Molto spesso non si riusciva ad avere neanche tutte e quattro
le ruote uguali poiché una proveniva dalla carrozzina per poppanti, un
paio erano in origine le posteriori di un triciclo e la quarta magari era appartenuta
ad uno ciclomotore. Il reparto trasmissione era il festival dell’approssimazione,
con cinghie, pulegge, tiranti e catene per adattare il motore al telaio, in
un modo che definire artigianale è un eufemismo.
Tutto questo non smorzava gli entusiasmi, anzi li accresceva, ed i ragazzi,
ma anche molti dei loro padri, potevano sentirsi dei veri campioni del volante.
Si può affermare con buona approssimazione che il kart nacque ufficialmente
oltre-oceano verso il maggio del 1957 e la diffusione, dovuta anche alla risonanza
data dalla stampa, fu così rapida da lasciare stupiti un po’ tutti.
Non solo coloro che lo definivano un semplice gioco per bambini ma anche quelli
che avevano creduto nel piccolo e semplice veicolo.
C’è da fare però una precisazione: alcuni tentativi furono
fatti già 10 anni prima, nel 1947 (e forse anche prima della guerra)
ma il grande pubblico non era pronto per l’innovazione. Le auto da corsa
diventavano sempre più costose, il numero di partecipanti si andava assottigliando
ed il costo dei biglietti delle gare aumentava continuamente. Il karting ebbe
così il merito di sanare, almeno in parte, questa situazione richiedendo
delle spese molto più contenute ed un minore impegno di guida pur dando
sensazioni molto vicine a quelle delle auto da corsa.
Compattezza, leggerezza e semplicità erano le doti più apprezzate
e che consentivano di risolvere, almeno per il momento, il problema della propulsione.
Il monocilindrico era disposto dietro il sedile (una comoda poltroncina in pelle)
ed orientato orizzontalmente e verso dietro; il complesso di testa e cilindro
era di forma prettamente tondeggiante, fittamente alettato e dotato di ventola
per il raffreddamento ad aria forzata sul lato destro, dove trovava posto anche
l’avvolgitore per la messa in moto a strappo. La marmitta era costituita
da un corto tratto di tubo a sezione rettangolare.
In asse con l’albero motore, al posto delle lame per tagliare l’erba,
era installato un pignone che azionava la sola ruota posteriore sinistra attraverso
una catena per biciclette, mentre il serbatoio era fissato dietro la spalliera
del sedile.
Il telaio era un semplice e robusto rettangolo in tubi tondi ed i comandi a
pedale erano ridotti ad uno soltanto perché il freno posteriore era azionato
attraverso una leva a mano che ricorda veramente i carri dei pionieri. Le ruote,
semipiene, avevano il battistrada scolpito e una larghezza che è neanche
la metà di quella dei pneumatici attuali.
Tutto l’insieme comunque era davvero ben fatto, pulito, frutto di un’idea
razionale e realizzato da un tecnico competente; con questo non si vuole assolutamente
denigrare l’opera di altri appassionati, ma si desidera sottolineare che
questo fu il primo kart inquadrato in un’ottica precisa e non approntato
con materiali trovati in soffitta, parti di residuati bellici e quant’altro
reperibile al grido di “lo voglio anch’io!”.
Siamo negli Stati Uniti e quindi, dopo un primo periodo di entusiasmo, di interesse
per la novità e di giustificata curiosità per la piccola macchina
che ancora non possedeva una precisa definizione, l’attenzione si spostò
sulla possibilità di produzione e di commercializzazione. Ancora una
volta il sogno americano stava scrivendo una pagina importante nella storia
dello sport e non solo di quello nazionale.
Tre imprenditori decisero di chiamare il veicolo go-kart (nome originariamente
coniato da un fabbricante di lampade a gas d’epoca) e che stava a significare
“vetturetta per bambini”. Furono messi in vendita i primi kart in
scatola di montaggio che, data l’elevata semplicità, potevano essere
assemblati da chiunque, anche con l’ausilio di una sola foto.
Nacquero altre industrie per la produzione di kart e degna di nota fu la Clinton
Engine Company che venne alla ribalta con un piccolo motore a 2 tempi, economico,
affidabile, sufficientemente potente e soprattutto disponibile in gran quantità.
Il Clinton A400 fu per lungo tempo il propulsore standard per il kart. In questo
panorama i costruttori, concentrati su problemi tecnici ed industriali, trascurarono
inizialmente l’importante aspetto della sicurezza.
Alcuni si avventurarono in improbabili veicoli a 3 ruote (pensate in curva!),
altri utilizzarono tubi idraulici per il telaio, con conseguenze disastrose
per la rigidità del veicolo, per latri ancora non costituiva problema
presentare gomme tremendamente larghe o eccessivamente strette.
Per mettere chiarezza occorreva un organo normativo, la cui nascita in verità
non si fece attendere per molto e, nel dicembre del 1957, venne formato il “Go-kart
Club of America” che dettò le regole ed i requisiti per la costruzione
dei telai ed i limiti per la cilindrata dei motori.
Era iniziata ufficialmente l’era del karting.
Nei primi anni 60, sull’onda di una novità che neanche a dirlo
proveniva dagli Stati Uniti, il kart arrivò anche in Italia.
Il kart in Italia assunse una fisionomia differente rispetto a quanto avvenne
nel paese d’origine. Più che da genitori volenterosi o da un fenomeno
industriale accentrato, almeno inizialmente, in un unico rappresentante, il
kartismo italiano originò secondo un fenomeno a chiazze.
In molte zone, soprattutto del nord, si formarono dei nuclei che si dedicarono
alla costruzione di kart secondo la loro libera interpretazione. La frammentazione
dell’iniziativa può essere attribuita, tra le altre cause, ad una
caratteristica tipicamente italiana di quel periodo: la presenza di una miriade
di case costruttrici di motori e di motociclette complete di cilindrata medio-piccola.
L’accostamento tra kart e moto può essere considerato azzardato
solo relativamente e con una cautela maggiore se si affrontano considerazioni
tecniche.
I kart, come molte delle moto di piccola cilindrata di allora, possiedono un’elevata
semplicità, un telaio costituito da un nudo traliccio di tubi tondi ed
il motore collocato in modo da rendere ampiamente possibile qualsiasi intervento
di regolazione e manutenzione. Da non dimenticare la trasmissione che, nella
maggior parte dei casi, è affidata ad una coppia di ruote dentate collegate
da una catena.
Il proliferare di realizzazioni di ogni tipo trovò inoltre terreno fertile
nella capacità artigianale dei tecnici e degli appassionati italiani
che approntarono dei mezzi di buona fattura (anche se non sempre) e dotati di
motori di derivazione motociclistica, più che da giardinaggio.
Fu così che in Italia, almeno inizialmente, lo sviluppo del karting fu
ingovernabile dal punto di vista delle dimensioni, delle cilindrate e dei pneumatici.
Si formarono ben presto due scuole di pensiero, soprattutto per quanto riguarda
la guidabilità e la ciclistica: una di coloro che volevano realizzare
una vettura in miniatura, riguardo specialmente al sistema di sterzo e all’eventuale
schema di sospensioni; l’altra affermava che il kart dovesse avere una
sua particolare caratteristica per lo sterzo con un comando molto diretto e
la totale assenza di elementi ammortizzanti.
Vinse quasi subito, e senza troppa fatica, la seconda tesi anche perché
rispondeva maggiormente al criterio di massima semplicità.
Per quanto riguarda i motori c’era solo l’imbarazzo della scelta.
Ma i più utilizzati erano certamente quelli degli antesignani degli attuali
“scooter” in voga negli anni 60: la Vespa e la Lambretta.
All’inizio azionavano una sola delle ruote posteriori, mantenendo lo schema
di funzionamento del motociclo. Il motore della Vespa 125 era inoltre dotato
di raffreddamento ad aria forzata tramite ventola che lo rendeva indipendente
dalla posizione di installazione. Tra gli altri propulsori più dotati
in fatto di prestazioni non si può assolutamente dimenticare il Rumi
125, il bicilindrico parallelo a 2 tempi orizzontale che equipaggiava mitiche
motociclette dal rombo inconfondibile. Nella varietà di realizzazioni
una ha dell’incredibile: la Macerati candele ed accumulatori aveva in
produzione un ottimo monocilindrico a 2 tempi; decidendo di affrontare l’avventura
nel kart realizzò un veicolo dotato di 5 ruote, 3 delle quali posteriori!
Le 3 ruote erano equidistanti e la sinistra con la centrale erano tra loro collegate
e prendevano il moto dall’albero motore con una catena, mentre la destra
era indipendente.
Da sottolineare come un artigiano dotato di una speranza infinita denominò
il suo kart “Andrà”. E’ probabilmente con questo augurio
che, coloro che stavano vivendo l’epopea di questo sport, partecipavano
alle manifestazioni ed agli avvenimenti.
Il kart “è andato” ed è giunto ai nostri giorni in
condizioni ottime, ma quanto dobbiamo a chi ci ha preceduto!
Intanto sono trascorsi più di 40 anni da quando i primi go-kart iniziarono
ad inanellare giri sulla Pista d’Oro di Roma e sulla Pista Rossa di Milano.
In questo periodo relativamente lungo il kart ha navigato nel mare dell’evoluzione
tecnologica, raccogliendo le nuove soluzioni in quei settori dove non era possibile
fare a meno per diverse ragioni. I materiali hanno seguito lo sviluppo e le
nuove frontiere imposti dalla scienza metallurgica; i disegni e le sezioni dei
telai sono stati ottimizzati per rispondere sempre meglio alle richieste dei
piloti, ma anche di coloro che usano il kart in modo amatoriale; le lavorazioni
meccaniche hanno innalzato il livello di precisione; i lubrificanti ed i carburanti
hanno migliorato protezione e prestazioni; cerchi e pneumatici si sono allineati
al progresso registrato in tutti i campi di applicazione.
Una cosa sicuramente il kart non ha subito: lo stravolgimento dell’idea
iniziale che ispirò le prime realizzazioni.
La filosofia dell’essenziale, che non si riscontra in altri settori agonistici,
è rimasta sostanzialmente invariata: un nudo telaio in tubi, un motore
di una semplicità assoluta, quattro ruote (le posteriori prive di differenziale)
assenza quasi totale di qualunque sistema di sospensioni.
Dopo molti anni un kart è ancora tutto questo (o solo questo, come sarebbe
meglio dire). Non sono la nostalgia, l’ironia, i sentimenti con i quali
rivedere le immagini di un passato più o meno recente, caratterizzato
da caschi a guscio di noce, occhiali da “saldatore”, tute quasi
del tutto prive di pubblicità e pneumatici a “pizza” (molto
più alti che larghi).
Ammirazione e rispetto per un’epoca affrontata con pionierismo ed entusiasmo,
nella quale dominava l’inventiva e l’arte d’arrangiarsi era
considerata una qualità indispensabile. Un’epoca che ha visto sulla
scena grandi preparatori e conoscitori di meccanica e che ci ha tramandato questo
bellissimo sport, oramai considerato disciplina propedeutica per la carriera
di ogni pilota. Se il karting ha mantenuto il principio originale lo si deve
anche ai vertici dell’autorità sportiva internazionale e nazionale
che si sono mostrate lungimiranti; e se è sopravvissuto alle periodiche
crisi e recessioni una gran parte del merito va alla “base”: l’appassionato
che affronta gare e costose trasferte per pura passione sempre più consapevole
che senza assistenza ufficiale le speranze di vittoria sono ridotte al lumicino.
* liberamente tratta dall’opuscolo della “Pista Salentina”- Mond.le ‘98